Dicono di me
“Il luogo dell’anima sta nel punto di contatto tra il mondo interiore e il mondo esterno”. Le rime del poeta Novalis (‘800) sembrano fare da pendent ai dipinti di Cinzia Di Giovannantonio, che all’odierna società alienante, consumistica, oppone il suo spirito poetico libero da condizionamenti e teso solo a dipingere l’anima del mondo. Ella, oltre ad aver conseguito il diploma artistico e vari esami in Architettura a Pescara, dimostra un innato talento artistico, osservando e creando da sempre. Con emozione e razionalità, impeto e riflessione, s’instaura in Lei un dialogo spirituale con i cicli lenti ed armonici del Creato. Dotata di rilevante memoria, disegna ameni luoghi come in una contemplazione della sacralità del quotidiano. I suoi lavori, eseguiti “en plein air” ed “in atelier”, sottendono a profonda elegia con un virtuosistico stile: cromatismi soffusi, morbidi chiari-scuri, che si presentano come elementi affini ad un’Arte classica. La Temporalità Vitae è ben tratteggiata con luminosità iconografica dal tonalismo cinquecentesco veneziano. Tono che diventa chiarezza spaziale in “S.Stefano”, borgo arroccato simile ad una fortezza e nelle affascinanti e svettanti guglie in stile tardo gotico di un “Castello” medioevale. Ma in quest’Artista si fa viva, autentica, anche l’urgenza di esprimere il dolore dell’altro, percepito empaticamente in “Bambino Egiziano”: la narrazione diventa drammatica, serrata perché viene evidenziato con lucida stesura cromatica il duro lavoro che grava su un fanciullo che calcava un logoro asinello in un abbagliante calura che arroventa la sabbia rossa. Cinzia è anche efficace psicologicamente con la sua delicata capacità introspettiva che riesce ad indagare finemente i lineamenti e l’animo del soggetto dipingendolo come un’icona: “Gessica”, la sua bimba dal ridente e puro sorriso, la “Madre” dallo sguardo timido, amorevole, il ”Padre” dalla serena e forte presenza. Con acrilico, acquerello, pastello, china, pirografia, scultura in marmo “Testa di giovane romano” eseguita nella concezione michelangiolesca del “levare”, la pittrice abruzzese perviene ad un suo personale codice estetico, come in “Rocca Calascio” dove delinea plasticamente delle mura antiche diroccate che anno una forza scenografica così incisiva da ricordarci quasi la “poetica delle rovine” di derivazione piranesiana. In ogni immagine della Di Giovannantonio si respira l’eco di una Vis realistica e fiamminga: nell’abile uso del dettaglio minuzioso, da orafa, in contesti nitidi. In “ Vicolo S. Stefano “ vibra una musicalità leopardiana nei verdi monti assolati , nel gioco di gattini incuriositi, nella donna anziana curva sul suo lavoro dinanzi all’uscio. In ” Pinciara ”, luogo evocante squarci di memoria lontana, colpisce il lento passo della nonna, in un’atmosfera bucolica, mentre delle pecore sostano miti lungo la casa di terra circondata da annosi alberi. Analisi e sintesi, linea e luce sono come intrise di note intimistiche anche in “Trabocchi”, dove tutto parla di un’ atavica quiete e sembra di udire la risacca che ora lambisce un barca ancorata, ora ritma il lavoro alla rete di un marinaio. Dove l’Artista ideologicamente ed inconsciamente si affianca, in modo particolare, al Romanticismo tedesco (‘800 ) è poi, a mio avviso, “Sul Nilo”, giacchè in quella barca a vela che solitaria scivola sull’onda in un volteggiare gioioso di uccelli, si ravvisa la Navigatio Vitae, enigma esistenziale come metafora del mare nella vita. In tutte le sue immagini si intravede dunque una grande capacità dialettica, opere di pregevole fattura, dalla struttura compositiva essenziale, come tessere di un discorso unitario. Visione che cattura non solo l’occhio, ma anche il sentimento. Amore per la natura ed attenzione per le sfumature dell’animo umano, che diventano capacità di farsi tutt’ uno col visibile in un’ esperienza d’Arte come viaggio verso l’infinito.Critica a cura di Giovanna Berretta